Roberta ricattata (2010), p. 13b – La laurea di una schiava (2/3)

Il pomeriggio passò veloce. Roberta preparò gli ultimi documenti per la tesi, stampò i lucidi, ripassò ancora una volta la sua presentazione.

Fortunatamente, Alberto era partito in gita scolastica, cosicché Roberta poté concentrarsi sul proprio lavoro. Verso le sette del pomeriggio, entrò in camera sua madre Lucia. – Dobbiamo cenare un po’ presto, oggi, tesoro – le disse. – Dopo cena verrà a farci visita un cliente.

Roberta annuì, ignorando deliberatamente il tono preoccupato della madre. Da quando i genitori di Roberta avevano aperto un’attività commerciale, in molte occasioni Roberta aveva avuto l’impressione che ci fosse qualche problema. Li aveva sentiti discutere, e una volta aveva persino avuto l’impressione che sua madre piangesse, nella sua stanza. Tuttavia, Roberta aveva deciso di non chiedere nulla; sentiva di non poter reggere più preoccupazioni di quelle che la sua situazione personale già le causava. Anche questa volta, non chiese nulla. – Va bene, mamma, arrivo subito, – disse semplicemente.

A tavola, il silenzio era quasi palpabile, e Roberta, che non sopportava la tensione, cercò di intavolare una discussione sulla gita di Alberto. Quando furono giunti all’ultima portata, mentre Roberta stava parlando, il padre, Sergio, si alzò frettolosamente da tavola. – Scusaci, tesoro, – disse, – ma è ora di sparecchiare. Il signor Marchi sarà qui fra meno di mezz’ora.

Sentendo quel nome, Roberta ammutolì di colpo. – Stai bene? – le chiese sua madre, vedendola impallidire. – Si, mamma, – balbettò lei, – sono solo stanca… sai, la tesi… Andrò in camera mia, se non vi spiace.

Anna sorrise. – Certo, – le disse. – In ogni caso, sai, faremo solo una noiosa discussione di lavoro.

Roberta aiutò la madre a sparecchiare, e poi andò in camera sua. Il cuore le batteva forte. Si sedette sul letto, e cercò di tranquillizzarsi. Non c’era motivo di pensare che si trattasse di quel Marchi, l’uomo che aveva incontrato nella villa di Carlo, e che aveva abusato di lei, trattandola come una serva. Poteva essere chiunque. Quando sentì suonare alla porta, tuttavia, decise che doveva togliersi il dubbio. Cercando di non far rumore, si avvicinò alla porta che separava la zona notte dalla zona giorno, mettendosi a origliare. Quando sentì la voce dell’ospite, il sangue le si gelò nelle vene. Era la stessa voce… quella voce…

Rimase ad origliare, con le ginocchia che le tremavano. Lucia e Sergio fecero accomodare l’ospite in salotto, cosa che rese più difficile a Roberta distinguere bene quello che veniva detto. Dopo alcuni convenevoli, i tre
iniziarono a discutere di affari. Roberta non era in grado di capire bene ciò che veniva detto, ma ebbe l’impressione che i suoi genitori parlassero di un qualche problema che avevano avuto nel rispettare certe forniture.

Quando prese la parola il Marchi, facendo loro una sorta di proposta, Roberta sentì che il tono della voce dei suoi genitori cambiava completamente, come se fossero sollevati e riconoscenti.

Dopo circa una decina di minuti, il Marchi si schiarì la gola. – Ora, vorrei che voi leggeste con calma i termini dell’accordo, – disse. – Se non ci sono problemi, potremmo vederci dal notaio domattina presto. Vorrei usufruire del bagno mentre esaminate questo documento.

Anna si offrì di accompagnarlo, ma il Marchi rifiutò, dicendo di non avere molto tempo e che preferiva che leggessero il documento con calma insieme.

– D’accordo, – rispose Anna, – è la prima porta sulla sinistra…

Roberta si rese conto che il Marchi veniva da quella parte, e tornò di corsa in camera sua, chiudendo la porta delicatamente e sedendosi sul letto, tremante. Sentì la porta del corridoio che si apriva, e poi altre maniglie,
come se il Marchi, anziché dirigersi in bagno, stesse per qualche motivo guardando in tutte le stanze. Quando la ragazza si rese conto di quello che stava accadendo, era troppo tardi. Il Marchi aveva aperto la porta della sua stanza, ed era entrato.

– Sono contento di trovarti in casa, – disse l’uomo. Roberta arrossì, incapace di parlare. Come al loro primo incontro, lo sguardo severo degli occhi freddi e grigi del Marchi bastava a farla sentire completamente impotente. L’uomo le si avvicinò. – Non sembri stupita di vedermi, – disse, – suppongo che tu stessi origliando…

– I tuoi genitori sono molto contenti dell’affare che ho proposto loro, – disse il Marchi. – Li salverà dalla rovina. Loro, comunque, restano due stupidi falliti…

L’uomo sollevò le mani verso la camicetta di Roberta. La ragazza, come paralizzata, ebbe appena un tremito istintivo, ma non le riuscì di opporre resistenza. Il Marchi iniziò a slacciarle i bottoni, freddamente. Le aprì la
camicetta e le abbassò bruscamente le spalline del reggiseno, e poi le coppe, denudandole i seni. – Toglilo, – le ordinò.

Pur non essendone certa, Roberta aveva l’impressione che l’accordo che il Marchi aveva proposto ai suoi genitori avesse un prezzo, e che spettasse a lei pagarlo. Senza dir nulla, si sfilò il reggiseno, senza togliere la
camicetta. Il Marchi la guardò con calma, e le sollevò la gonna. – Anche quelle, – disse, indicando le mutandine di Roberta. Arrossendo, la ragazza obbedì. – Vedo che adesso ti depili, – disse il Marchi, con tono di derisione. Roberta abbassò il capo. – Si, signore, – disse.

L’uomo la osservò. – Vorresti essere scopata qui e subito, con i tuoi genitori dall’altra parte della parete?

– N… no… la prego, – mormorò Roberta. Sapeva che se il Marchi l’avesse chiesto, lei avrebbe dovuto obbedire. Lui non replicò, e portò la mano all’interno della propria giacca. – Non è stato facile nasconderlo, –
disse, – ma ne valeva la pena. – Con quelle parole, estrasse dalla tasca della giacca un fallo di cuoio imbottito, lucido, di dimensioni mostruose. – Fra circa dieci minuti, chiederò ai due falliti di presentarmi loro figlia. Quando ti chiameranno, ti unirai a noi, e avrai questo infilato per intero nella fica.

Appoggiò l’oggetto alla bocca di Roberta. – E’… troppo… grosso… – mormorò lei, ma il suo mormorio fu in parte soffocato dall’oggetto, che il Marchi le spinse in bocca appena lei dischiuse le labbra per parlare. Il fallo era così grosso che Roberta faceva quasi fatica ad aprire la mascella a sufficienza per prenderlo. – Tutto, nella fica, – ripeté lui. – Se hai ancora qualcosa da obiettare, deciderò che lo devi avere in culo. Ci siamo capiti?

Roberta piangeva, ma non replicò, annuendo debolmente. Il Marchi le sfilò l’oggetto dalla bocca, lo usò come manganello per colpirle i seni un paio di volte, e poi lo gettò per terra. – Inoltre, procurati del nastro adesivo per pacchi e usalo per spalancarti le labbra della fica. Sai cosa intendo.

– Si… signore, – mormorò ancora lei.

– Infine, – disse il Marchi, cavando di tasca due piccoli anellini di gomma nera, e buttandoli sul letto, – questi sono per i capezzoli. Applicali alla base del capezzolo. E togliti questa camicetta; indossa un golfino di
cotone.

L’uomo accarezzò il volto di Roberta. – Ti meriti tutto questo, – le disse, – e lo sai. Sei figlia di pezzenti che volevano fare i soldi ma non erano abbastanza intelligenti per farlo, e sei o eri fidanzata con un poveraccio
dello stesso calibro.

Si voltò, e si diresse alla porta. – Quando verrai di là, trovero’ il momento giusto per controllare se hai fatto tutto quello che ti ho ordinato. Cerca di non deludermi.

Con queste parole, uscì dalla stanza. Roberta si accasciò sul letto, a singhiozzare. Molto presto, tuttavia, si rese conto che non aveva molto tempo. Prese il mostruoso fallo di cuoio, tremando. L’oggetto aveva una
circonferenza di poco inferiore a una bottiglia di birra, ed era anche più lungo. Le sembrava impossibile che potesse entrare nella sua vagina. Prese un rotolo di nastro adesivo da un cassetto della propria scrivania, un top di cotone, e si recò in bagno, chiudendosi dentro. Qui, si sedette sul bidet, spalancando le gambe. Tentò di appoggiare la punta del fallo di cuoio al proprio sesso, e di aprirsi la vagina più che poteva con due dita della mano libera. Vedendo che il tentativo era vano, si riempì il palmo della mano di sapone liquido, e iniziò a strofinare il fallo di cuoio, come se stesse masturbando un uomo. Si rese conto di non essere comunque abbastanza bagnata, nonostante la sensazione di perverso, detestabile piacere che i modi autoritari del Marchi le facevano provare suo malgrado. Meccanicamente, iniziò a strofinarsi il grosso membro di cuoio sulla vagina, mentre si accarezzava i seni e i capezzoli. Il suo sesso iniziò a rispondere. Tentò nuovamente di
metterselo dentro e questa volta, quasi con sorpresa, vide che iniziava a scivolare dentro. La penetrazione era molto dolorosa, e le dilatava la vagina nel modo più osceno, ma Roberta sapeva di avere poco tempo. Chiudendo gli occhi e stringendo i denti, spinse con forza. Grosse lacrime le scivolarono dagli occhi chiusi lungo le guance mentre il terribile arnese guadagnava millimetro dopo millimetro, aprendole il sesso in quel modo umiliante. Quando fu dentro per un terzo, Roberta iniziò a maneggiarlo, spingendolo ritmicamente dentro e fuori, guadagnando nuovi centimetri a ogni penetrazione.

Dopo un tempo che le parve infinito, e dopo aver cosparso il fallo di cuoio con altro sapone, riuscì a infilarlo fino alla base. La vagina le doleva atrocemente. Si asciugò le grandi labbra con l’asciugamano da bidet, e
strappò due grossi pezzi di nastro adesivo, che applicò alle proprie grandi labbra e alle proprie cosce, aprendosi come il Marchi aveva chiesto.

A questo punto, i suoi capezzoli si erano irrigiditi, e fu semplice, sebbene doloroso, applicare gli anelli di gomma come le era stato chiesto.

Uscì dal bagno proprio mentre suo padre stava venendo a cercarla. – Tesoro, – le disse, – il signor Marchi gradirebbe conoscerti…

Nello sguardo di suo padre, Roberta vide una gioia che non aveva visto da tempo. L’affare si stava concludendo felicemente e l’uomo ne era chiaramente sollevato. – A… arrivo, papà, – disse Roberta, fermandosi nel corridoio. – Dammi solo un attimo…

Sergio guardò la propria figlia. – Si, certo, – le disse. – E…. metti un reggiseno, tesoro.

Roberta arrossì violentemente. Era chiaro che suo padre si riferiva al modo osceno in cui i suoi capezzoli, allungati dagli anelli che li stringevano alla base, facevano capolino attraverso il tessuto del top. Annuì,
sforzandosi di sorridere, ma morendo di imbarazzo, e si chiuse in camera.

Ovviamente, non poteva indossare un reggiseno. L’enorme oggetto che teneva nella vagina le creava difficoltà a camminare, ma verificò di poter dissimulare. Era anche sufficientemente ben piantato dentro di lei da non
poterle cadere accidentalmente, nonostante il sapone che lo lubrificava. Quindi, Roberta si fece coraggio, e si recò in sala. I suoi genitori e il signor Marchi erano seduti al tavolo del salotto, su comode sedie imbottite. – Ah, ecco… Roberta, giusto? – disse il Marchi, sorridendo e alzandosi. – Piacere, – disse Roberta, sorridendo e stringendo la mano all’uomo che l’aveva appena costretta a torturare la propria vagina.

– Siediti qui, – disse il Marchi, indicando a Roberta la sedia accanto a lui. I genitori di Roberta erano seduti dall’altra parte del tavolo. Lucia chiese al Marchi se non preferiva sedersi sul divano, ma l’uomo scosse il capo. Roberta fece per sedersi. Ricordando che il Marchi desiderava verificare personalmente che lei avesse obbedito ai suoi ordini, senza darlo a vedere Roberta alzò la parte posteriore della gonna mentre si sedeva, appoggiando le natiche nude sulla sedia. In questo modo, sarebbe stato più facile sollevarsi la parte anteriore della gonna se il Marchi le avesse fatto capire di farlo.

Diede uno sguardo a suo padre, ma lo distolse subito, vedendo che Sergio si era accorto che Roberta non si era messa il reggiseno come lui le aveva chiesto.

– Dunque, Roberta studia… informatica, giusto? – fece il Marchi. – Informatica, – rispose Sergio, raggiante. – E’ il nostro piccolo genio… tutti trenta! Siamo molto fieri di lei.

– Ne avete certamente motivo, – disse il Marchi, sorridendo. – E’ una bravissima ragazza, glielo si legge in faccia…

Roberta si accorse che la mano del Marchi si spostava verso di lei, sotto il tavolo. L’uomo prese l’orlo della gonna e lo sollevò, scoprendo completamente Roberta. Lei arrossì, dando uno sguardo rapido ai suoi
genitori per accertarsi che non potessero vedere ciò che stava accadendo. – Una ragazza che ha il senso della disciplina, – continuò il Marchi, sorridendo, mentre la sua mano si spostava sulla vagina di Roberta, controllando che il membro di cuoio fosse ben dentro. Roberta non si era mai sentita così umiliata. Le dita di uno sconosciuto le stavano sfiorando le grandi labbra, spalancate dal mostruoso membro di cuoio e dal nastro
adesivo, sotto gli occhi dei suoi genitori.

– Spiega al signor Marchi in cosa consiste la tua tesi, forse lo interesserà, – disse Sergio a Roberta.

– Non… non credo, è una cosa… noiosa, – mormorò lei, simulando un sorriso. – Si tratta… ecco… un
sistema di monitoraggio di un impianto industriale…

Il Marchi annuì. – Capisco, – disse, con un tono che non celava il suo scarso interesse. Questo imbarazzò un po’ i genitori di Roberta. Lucia tentò di spezzare la tensione. – Lei comunque è davvero brava, – disse, – tutto il contrario di suo fratello. Lui, ecco, diciamo che non è molto attratto dai libri… – Fece una risatina, a cui Marchi rispose con un sorriso. – Probabilmente, il ragazzo ha altri interessi, – disse, guardando Roberta. Lei arrossì ancora. Non sapeva come il Marchi potesse essere a conoscenza di quello che stava accadendo fra lei e Alberto, ma era evidente che lo sapeva. Sentì che il Marchi aveva afferrato l’orlo inferiore del top, e lo stava
tirando, e capì che l’uomo voleva controllare anche i capezzoli. Tuttavia, non poteva farlo senza farsi vedere dai genitori di Roberta. Lei esitò, e poi si decise a essere, ancora una volta, remissiva. Si chinò in avanti,
appoggiando i pugni sul tavolo e il mento sopra di essi, nascondendo i propri seni alla vista dei genitori. – Allora… devi sapere che abbiamo trovato col signor Marchi un accordo molto buono, tesoro, – disse suo padre, sorridendo, ancora raggioso, ignaro del fatto che nello stesso momento l’uomo con cui aveva fatto un accordo stava tirando i capezzoli di sua figlia, saggiandone la durezza e lunghezza con calma. Quando ebbe finito di controllarli, diede una leggera pacca sulla parte inferiore dei seni della ragazza, segnalandole così che poteva rimettersi dritta.

Il Marchi restò in silenzio per qualche istante. – Davvero una bella famiglia, – disse infine, sorridendo. – Avete anche un cane, vero?

– Oh si, Bruto. – disse Lucia. – Ora e’ nello studio… non fa altro che dormire…

Marchi annuì. – Bene, – disse quindi. – per me è quasi ora di lasciarvi. E’ stata una serata piacevolissima. Posso accettare ora il bicchiere di vino di cui si parlava prima?

– Certo, – disse Lucia, sorridendo, – ogni promessa è debito. – Si alzò, dirigendosi in cucina. – E tu Sergio, se vuoi ancora farmi assaggiare uno dei tuoi sigari… – Anche Sergio annuì sorridendo. – Ma come no, – disse, alzandosi. Roberta arrossì, preoccupata del motivo per cui il Marchi stava chiaramente facendo in modo di restare solo con lei.

Non appena entrambi i genitori di Roberta si furono allontanati, il Marchi si avvicinò alla ragazza. – Adesso vai nello studio, e fai un pompino al vostro cane, – le disse. – Non mandare giù. Quando tornerai qui, senza
farti vedere dai tuoi, aprirai la bocca e mi farai vedere lo sperma di Bruto, dopodiché potrai deglutire.

– Cosa…? Io… non… non posso! – mormorò Roberta, tremando.

– Te lo sto ordinando, non te lo sto chiedendo – disse il Marchi, freddamente. – Ti ho dato un’impressione diversa?

Roberta non rispose, e si alzò, nello stesso momento in cui rientravano in salotto i suoi, col vino e il sigaro. – Devo fare una telefonata al mio ragazzo, – mormorò la ragazza, rivolta al Marchi, – torno a salutarla, comunque.

– Certo, vai, – disse il Marchi, con un ghigno, – e sii dolce con il tuo ragazzo.

Roberta raggiunse la porta del corridoio, e andò nello studio. Per qualche istante, cercò di immaginare con cosa poteva simulare lo sperma di Bruto; le venne in mente il sapone liquido, o altre lozioni, ma temeva troppo che il Marchi potesse accorgersi che aveva disobbedito. Non ebbe neppure il coraggio di rimuovere il grosso membro di cuoio dalla propria vagina, anche se era improbabile che il Marchi la “controllasse” di nuovo. Entrò nello studio. Bruto le venne incontro, scodinzolando.

Roberta si inginocchiò, e iniziò ad accarezzare la schiena e il muso dell’animale. Il disgusto che provava all’idea di ciò che era obbligata a fare era quasi paralizzante. Tuttavia, trovò la forza, gradualmente, di
prendere in mano il membro del cane. Delicatamente, controllando le reazioni della bestia e accarezzandolo e sussurandogli di star calmo, iniziò a masturbarlo. Aveva intenzione di rimandere il momento in cui l’avrebbe preso in bocca, ma non poteva correre il rischio che Bruto venisse sulla moquette, e che il suo seme andasse perduto, e sporcasse in giro. Non appena Roberta si rese conto che l’animale la lasciava fare, e anzi dimostrava di prenderci gusto, iniziando a dare spinte ritmiche nella sua mano, la ragazza si mise carponi e lo prese in bocca. Fortunatamente trovò subito una posizione adatta. Piangendo sommessamente, lasciò che il cane facesse il proprio comodo nella sua bocca, scopandola con rapidi movimenti di bacino… Lasciò che scopasse la sua bocca come se fosse stata la vagina di una cagna. La monta durò diversi minuti, durante i quali, di quando in quando, il membro di Bruto accennava ad ammosciarsi, e Roberta si trovava costretta a leccarlo e succhiarlo con maggiore dolcezza per recuperarne l’erezione. Mentre la prendeva, l’arnese del cane perdeva liquido in abbondanza, riempiendole la bocca di un sapore acre e rivoltante. Infine, le spinte si fecero velocissime, mentre il cane schizzava tutto il suo carico di sperma nella bocca della ragazza inginocchiata. Roberta provò la terribile sensazione di essere grata per quell’osceno dono. Per paura che le ultime gocce del disgustoso liquido macchiassero la moquette, la ragazza dovette succhiare e leccare con cura il membro del cane prima di ritrarre la bocca.

Non riuscendo quasi a credere di essere riuscita a portare a termine quell’ordine orribile, Roberta si rialzò da terra, lottando con lo stimolo di rigettare. Quindi, si diresse lentamente verso la sala, trattenendo lo sperma di Bruto sotto la lingua. La paura di affrontare i propri genitori, la paura che potessero accorgersi di qualcosa, la rendeva quasi incapace di pensare.

– Rieccoti, – disse Sergio, quando Roberta fece finalmente la sua comparsa in sala. La ragazza sorrise, annuendo. Tornò a sedersi, terrorizzata che i suoi potessero rivolgere la parola, e cercando di incontrare lo sguardo del Marchi. L’uomo, però, volontariamente evitò di guardarla per qualche minuto, sistemando con cura i documenti nella propria borsa di cuoio.

Infine, si volse verso Roberta. – Allora, tutto a posto con il tuo ragazzo? – le chiese, sorridendo. Roberta fece scivolare lo sperma di Bruto sulla lingua e aprì la bocca appena un po’ piu’ del normale, per mostrarne il contenuto al Marchi senza dar nulla da intendere ai suoi genitori. Sempre cercando di non farlo notare, deglutì un po’ dello sperma prima di parlare, e poi rispose – si, tutto bene, grazie.

Il Marchi annuì, e si alzò. – Allora, a domattina, passerò di qui verso le nove, – disse, congedandosi dai genitori di Roberta con una vigorosa stretta di mano. – E tanti auguri per la tua tesi, – aggiunse il Marchi
rivolto a Roberta, con uno sguardo che la ragazza non riuscì a decifrare.

Sergio e Lucia lo ringraziarono ancora per l’accordo che avevano raggiunto, e lo accompagnarono alla porta.

Quando il Marchi fu uscito, Roberta stava avviandosi verso la propria camera, quando Sergio le disse: – non l’hai messo, il reggiseno. Roberta arrossì. – Io… non sono riuscita a trovarne… voglio dire, che andassero bene con questo top… e…

I genitori la guardavano, con aria di disapprovazione. Era evidente che non era facile, per loro, trovare le parole giuste. Infine fu il padre di Roberta a rompere il ghiaccio. – Dovresti proprio metterlo, quando sei… in
queste condizioni. Sai cosa voglio dire, vero? Roberta abbasso’ il capo. – S… si, papà, – mormorò. – Scusa…. io non mi ero accorta… insomma…

L’uomo non replicò nulla. Roberta diede un bacio a sua madre e tornò in camera sua, bruciando per l’umiliazione. Si liberò del fallo di cuoio, nascondendolo sotto il letto, degli anelli di plastica e del nastro adesivo, e si mise in fretta la camicia da notte. Era sconvolta; quello che era successo quella sera era più umiliante di qualunque altra cosa le fosse accaduto in quei terribili mesi.

Cercò a lungo di addormentarsi, ma invano. La vagina le doleva per la dilatazione subita, ma c’era dell’altro. Disgustata di se’ stessa, Roberta decise di dare sfogo a ciò che la tormentava. La sua mano scivolò sotto la
camicia da notte, dentro le mutandine. Iniziò a masturbarsi, a lungo, e la sua mente rivedeva lo sguardo gelido e severo del Marchi, il modo in cui le aveva tirato fuori i seni, il modo in cui l’aveva umiliata. Il dolore che provava ancora alla vagina, e la paura che aveva provato, fecero si’ che ci volesse molto tempo per giungere a un orgasmo. Con le ginocchia sollevate, le cosce spalancate, due dita dentro di se’, gli occhi chiusi, infine Roberta accolse l’onda di piacere, potente e degradante, con un lungo gemito soffocato.

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